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venerdì 13 novembre 2009

Spacciatori d'aborto: Ora parte l'inchiesta di Nas e procura

Milano, dopo la denuncia sul mercato nero del Cytotec

Ricette false, più che medici compiacenti. Timbri contraffatti, firme di dottori dai nomi presi su Internet o inesistenti. E’ soprattutto questo ad alimentare il mercato nero del Cytotec, il farmaco antiulcera usato per procurare aborti e venduto clandestinamente in alcune stazioni del metrò di Milano. C’è un’inchiesta di Nas e procura del capoluogo lombardo, che sulla questione mantengono riserbo. Lo smercio su Internet esiste, ma pesa relativamente, spiegano i carabinieri del Nucleo antisofisticazioni: «Chi si azzarda ad acquistare pastiglie di Cytotec sul web, come il Viagra o altri prodotti del genere - spiega il capitano Paolo Belgi, del nucleo di Milano - rischia di ritrovarsi con prodotti che nel migliore dei casi non hanno effetto o sono addirittura cancerogeni».
Le indagini, definite «avanzate», sono condotte in collaborazione con l’ordine dei farmacisti ai quali è affidato il compito di segnalare casi sospetti. «Il Cytotec si può avere solo con una ricetta medica non ripetibile - dice Andrea Mandelli, presidente dell’Ordine milanese e nazionale -, proprio come nel caso, ad esempio, della pillola del giorno dopo. Siamo i primi ad avere l’interesse a segnalare irregolarità: la prescrizione deve essere fatta dal medico di base che specifica nome e cognome del paziente. E il farmacista ha l’obbligo di conservare l’originale per sei mesi».
Ma la rete che rifornisce lo smercio clandestino c’è, ed è molto attiva. Ne approfittano soprattutto donne incinte, straniere, spesso clandestine, ma anche italiane, qualcuna molto giovane. Nel nostro Paese, nel 2008, gli aborti legali sono stati circa 120 mila, di cui 80mila da parte di donne italiane. Si stima - ma il numero esatto non lo conosce nessuno -, che gli interventi clandestini siano almeno 20mila, con un’impennata al Sud e tra le straniere. «Donne in carriera o in cerca di lavoro, studentesse minorenni, tutte italiane, vengono a chiederci se conosciamo qualcuno che offra “scorciatoie”», dice Caterina Fallanca, psicologa che lavora al Ced di Milano (Centro di educazione demografica), un consultorio laico dove, ogni giorno, arrivano 30, 40 donne in cerca di aiuto.
«Chiedono - racconta - se sappiamo come si recuperino le pillole di Cytotec o se conosciamo ambulatori clandestini, perché le liste d’attesa per una interruzione di gravidanza negli ospedali pubblici sono molto lunghe. Sette medici su dieci sono obiettori di coscienza e questo rallenta la formazione delle équipe». Si tratta, spesso, di donne preparate, che conoscono le possibilità previste dalla legge 194 e le conseguenze penali per chi non la rispetta. Eppure la fretta le rende pronte a rischiare. Come capita alle minorenni: «Vengono qui disperate, perché sono rimaste incinte e non sanno come fare - dice ancora Caterina Fallanca. Per quelle che sono sole, andare in tribunale ed essere ascoltate da un giudice tutelare, necessario per autorizzare l’intervento al posto dei genitori, è un ostacolo psicologico molto difficile da superare. Qualcosa di ben diverso, insomma, dal caso delle ragazze che vengono qui con la madre o il padre».

Nella rete dei consultori milanesi, però, il fenomeno preoccupa soprattutto chi segue le straniere: «Dicono di avere una gravidanza in atto e chiedono subito indicazioni sul Cytotec - spiega Graziella Sacchetti, ginecologa del «Centro di Salute e ascolto per le donne immigrate e i loro bambini» dell’ospedale San Paolo, a Milano, e che fa parte della Simm, società scientifica italiana di Medicina delle migrazioni -. Le donne vogliono sapere quante pastiglie bisogna assumere, a che ora del giorno e quali le controindicazioni e i rischi. Noi spieghiamo che la funzione del nostro centro non è spingerle all’aborto clandestino e insistiamo perché tengano il bambino. Se non le convinciamo indichiamo l’unica via percorribile: l’aborto legale in ospedale. Ma le straniere, spesso irregolari, temono la denuncia per clandestinità». Proprio com’è accaduto a Marilina, una filippina di 32 anni, che lavora a Milano come colf, senza libretti.
Nel suo Paese ha lasciato due figli e qui è nato il terzo. Alle operatrici del centro ascolto ha spiegato che far nascere quel bambino avrebbe significato perdere il posto. «Le abbiamo spiegato che avremmo potuto aiutarla a tenerlo - racconta la ginecologa - lei ha risposto che ci avrebbe pensato su e se n’è andata. Qualche giorno dopo è ricomparsa e ci ha detto: ho preso il Cytotec, me l’ha venduto un’amica. Oggi ho avuto una perdita, che cosa mi succederà?».


di Elena Lisa - Fonte: http://www.lastampa.it/ 
(Vedi altro articolo inerente a questo su http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cronache/200911articoli/49327girata.asp )


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