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lunedì 19 ottobre 2009

Tutti i buoni motivi per frenare sulla Ru486


La gente è stanca di sentir parlare d’aborto. Comprensibile. Ma forse sono più stanchi i bambini di essere abortiti, ma anche le donne di vedersi porgere una pistola per farli fuori senza troppi problemi. Parlo della pillola Ru486. Per cui invito, comunque la si pensi, a rinunciare per un momento al sentimento di noia, e di mettere gli occhi su quanto accadrà oggi, proprio oggi. Infatti questo lunedì mattina è in raduno il Consiglio di Amministrazione Aifa (Agenzia italiana del farmaco), l’ente di diritto pubblico che questa estate in un batter di ciglia ha stabilito «conformemente al resto d’Europa» di autorizzarne l’uso, ritenendola in linea con la legge 194.
Nei giorni scorsi Il Giornale ha correttamente (noi non siamo oscurantisti) riferito di uno «studio che dimostra» come questo forcipe chimico, avente il potere di liquefare quegli esserini che a suo tempo fummo tutti noi, non noccia. In sintesi: la 194 autorizza - a certe condizioni - l’aborto. E qui le condizioni sarebbero rispettate, anzi eliminerebbe tanti problemi e spese d’ospedale.
Mi ha molto colpito il titolo. Esso riferisce tra virgolette questo giudizio: «Pillola abortiva non dannosa» (Il Giornale, 17 ottobre, pagina 22). Io ero abituato a pensare alle medicine come aiuto a guarire le malattie, e non credo che concepire e aspettare un bambino sia una malattia. Qui però c’è proprio una bugia. Come si fa a sostenere senza arrossire che non è «dannosa». Di certo la pillola almeno a qualcuno (non a qualcosa) fa male, parecchio male, fino a estirparne la vita. E si capisce che sto parlando di embrioni, feti, bambini non nati, fate voi.
Non è questo il punto, oggi, però. E a me non pare affatto che quello studio che vorrebbe beatificare questa Ru486 sia innocente. Anzi. Noto questo: la frase del titolo (Pillola abortiva non dannosa) è usata dalla rivista scientifica. Scientifica senz’altro, ma non proprio super partes: con grande professionalità Enza Cusmai, autrice del servizio, nota che è edita dalla casa farmaceutica che produce la molecola abortiva, il mifepristone. Mi rendo conto: quando uno come me usa una parola del genere si toglie da solo il diritto di parola. Ma qui, senza entrare troppo nella tecnica, noto come molti studi scientifici (qui non li cito, ma sono pronto a elencarli) dimostrino l’esistenza di molti punti oscuri.
Le morti dopo somministrazione di mifepristone sono purtroppo per la maggior parte ancora inspiegate. Dal dossier della ditta risultano 12 morti dopo Ru486 per un uso non abortivo, e 17 dopo uso abortivo.
Il fatto che il farmaco non sia stato usato per aborto, non permette di escluderne la pericolosità, come vorrebbe la rivista, ma semmai farebbe pensare il contrario, e cioè che questo farmaco ha delle implicazioni pericolose proprio per le sue caratteristiche, indipendentemente dal fine, abortivo o meno. Per esempio: una delle morti - citate dall’articolo - è quella di un maschio, che ha assunto la Ru486 per curarsi la depressione. L’uomo è morto inspiegabilmente per «disordine cardiaco», nessuna autopsia è stata eseguita, nessuno ha saputo spiegarne il decesso. Come si può escludere che sia stato il farmaco, se non si indaga?
Per le donne morte mentre prendevano la pillola, l’azienda farmaceutica sostiene che il danno fatale è dovuto a un uso non appropriato, in unione a un altro farmaco - misoprostolo - che pronuncio per l’ultima volta. Peccato che proprio quell’uso non appropriato sia quello consigliato nel manuale «Safe abortion» dell’Organizzazione mondiale della Sanità. Ma anche in Emilia Romagna si agisce secondo modalità diverse da quelle autorizzate negli Usa. Insomma: come si vede, c’è molta confusione sotto i camici, e non si capisce perché indorare così una pillola che comunque sia ammazza, i bambini sempre, le madri qualche volta.
Esempio, fra le donne morte durante la somministrazione della Ru486, la prima, nel 2001, è stata una canadese morta d’infezione durante una sperimentazione ufficiale, in ospedale, quindi sotto stretto controllo medico, sperimentazione che fu interrotta subito dopo il decesso, e per questo in Canada la Ru486 non è stata più introdotta.
Le massime autorità americane tipo la nostra Aifa (Fda e Cdc) hanno organizzato un convegno internazionale ad Atlanta, nel maggio del 2006, per affrontare l’argomento, che è stato giudicato della massima gravità. Nell’occasione l’ipotesi formulata e pubblicata su riviste scientifiche è che la Ru486 interferisce con il sistema immunitario e consente alle infezioni di avanzare. Un’ipotesi mai confermata né smentita, ma tuttora sotto esame. Insomma inspiegabile.
Ma c’è anche qualche morte che si spiega: quella di una ragazzina di 16 anni in Svezia, per esempio, trovata dissanguata sotto la doccia, a casa, perché aveva sottovalutato una pesante emorragia in corso, dopo aver abortito ed essere tornata a casa, senza ricovero ordinario. In Italia la legge 194 prescrive il ricovero. In certe regioni però si pensa di aggirare l’ostacolo chiamando ricovero il Day Hospital, un passaggio di qualche ora in clinica e via.
Tutti questi sono buoni motivi perché l’Aifa provi a capire un po’ meglio. Proprio perché non siamo oscurantisti. Interessante notare come il Partito democratico invece lo sia: i tre candidati alla segreteria del Pd (Franceschini, Bersani e Marino) all’unanimità hanno esposto la loro contrarietà a esaminare meglio l’introduzione di questa pratica. Perché l’Aifa deve obbedire a costoro?
Si risponde. La 194 è legge dello Stato. Giusto. Introduce l’aborto, ma lascia aperta la strada, sin nel suo titolo, alla tutela della maternità. Rafforzando questa parte della legge, gli aborti sono diminuiti di parecchio in Italia negli ultimi anni. La Ru486 trasformerebbe l’aborto in sistema di contraccezione, aumentandone il numero; per di più contiene una minaccia oscura per le donne. Questi sono i fatti che - senza pretendere di essere il Vangelo - chiedo di prendere in considerazione. Aifa fermati, non obbedire alla fretta. Né al Pd, né alle case farmaceutiche.


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