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venerdì 16 ottobre 2009

"Scrutai nel secchio e capii di aver assistito ad un omicidio"


La testimonianza di uno spettatore esterno, un infermiere.

“Don, voglio che tu venga al reparto di ginecologia stamattina. Stanno effettuando un aborto e voglio che tu lo veda”.
Il mio primo pensiero dopo questa direttiva del mio istruttore di infermieristica fu: Perché io? Mi ricordavo di aver chiesto in precedenza di essere presente ad una nascita se si fosse presentata l’opportunità, ma non avevo alcuna voglia di vedere un aborto. Ma andai. Era il mio trimestre finale di scuola infermieristica. Era stata una bella sfacchinata. Non volevo piantare grane a questo punto.
Era il 1975 e non ero il fervente attivista pro-life che sono oggi. Il fatto è che non avevo pensato molto all’argomento dell’aborto. Guardando indietro, mi sembra inconcepibile che io, un cristiano tradizionalista, fossi così incurante. Il mio atteggiamento era sessista? Vedevo l’aborto come un “problema della donna” che non aveva nulla a che fare con me?
Forse. Ma so questo: quello che vidi quel giorno è con me da 23 anni, e starà con me finché non scenderò nella mia tomba.
Una scena in particolare è nitida oggi come in quella mattina di maggio del 1975. È sempre con me, sia a livello cosciente che nei miei sogni: una piccola mano… una piccola gabbia toracica.
“Le abbiamo fatto la [anestesia] generale. È circa di 11 settimane, quindi tutto ciò che servirà è dilatazione e suzione”. Il medico parlava molto asetticamente mentre si sedeva su una sedia tra le gambe della sua paziente che erano legate con staffe e coperte da un panno. Ovviamente era molto familiare alla procedura. Continuò: “La terremo più a lungo questa volta. L’ultima volta si è quasi dissanguata tornando a casa”.
Guardai l’infermiere assistente. Era quasi morta dissanguata l’ultima volta? Non è il suo primo aborto? Il medico continuava a parlare col suo tono uniforme e disinteressato, mentre guardavo il contenuto dell’utero della donna venire giù attraverso l’apparecchio di suzione in un secchio d’acciaio ai suoi piedi. Feci un passo indietro e mi asciugai il sudore della fronte. “È raccapricciante” – dissi – “C’era qualche motivo particolare per cui non voleva tenere il bambino?”
“Voleva abortire” – replicò l’infermiere – “e la legge richiede che noi facciamo ciò che vuole”. Il medico aveva ascoltato la nostra conversazione. Quando si alzò disse: “A questo punto della gravidanza, il prodotto del concepimento non è molto”. Sapevo che l’enfasi su “prodotto del concepimento” era rivolta a me.
“È ciò che hai in quel secchio?” – pensavo – “Questo te lo rende più facile?”. Non avevo il coraggio di tradurre in parole ciò che pensavo. L’ho sempre rimpianto.
Feci un passo avanti e scrutai nel secchio. Stavolta ebbi un’ondata di sudore freddo. Indietreggiai e mi appoggiai al muro, con gli occhi chiusi. O Gesù! – pensavo – Ho appena visto uccidere qualcuno! E sono stato lì a guardare! Perché sono venuto qui giù? Come farò mai a scacciarlo dalla mente?
“Stai bene?”. La voce dell’infermiere mi riportò indietro.
“Mi dispiace” – sorrisi flebilmente – “Non avevo mai pensato a come fosse. Fai assistenza agli aborti per tutto il tempo?”
“Più di quanto mi importi ammetterlo” – disse l’infermiere – “In realtà riesco a gestirne uno, ma quando tornano per la seconda o terza volta, mi dà proprio fastidio”.
Quando uscii dalla sala operatoria, scossi la testa nel tentativo di far uscire quella orribile visione dalla testa. Non ci riuscivo. C’era; ci sarebbe sempre stata: una manina, una piccola gabbia toracica.
Per alcuni anni ho avuto un sogno ricorrente. Un piccolo bambino veniva da me. Cercavo di raggiungere il bambino, ma le mia gambe erano come pesi di piombo. Quando alla fine mi trascinavo verso il bambino, se n’era andato. Sapevo che il sogno simboleggiava il senso di colpa che provavo. Non potevo fermare l’aborto. Non ne avevo né il coraggio né l’autorità.
Non ho più quel sogno. Dio nella Sua infinita saggezza me ne ha liberato. Ma ho ancora il ricordo: la manina, la piccola gabbia toracica. La differenza adesso è che non voglio che il ricordo se ne vada. Mi dà forza.
Da quel che ho letto, altri 25 milioni di bambini sono stati abortiti da quando ho visto quell’aborto nel 1975. Quel bambino a cui non è stata mai data una possibilità avrebbe oggi 23 anni. Ma credo che quel piccolo bambino ha un’anima immortale come me. Ora egli dimora presso Dio. Ed al giorno d’oggi, mentre sto accanto all’autostrada, tenendo il mio cartello che dice “L’aborto uccide bambini”, penso all’anima di quel bambino e a quel corpicino che è finito in un secchio d’acciaio ai piedi del medico. Allora tengo il mio cartello ancora più alto, perché so che quel bambino sta guardando giù ed è contento che io sia lì.

(fonte: New Man Magazine; October 30, 2002
http://www.ucmpage.org/articles/dhaines.html)
 

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