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mercoledì 14 ottobre 2009

Rivelazione sull'aborto ad una mamma di famiglia Julia Youn H.S. (COREA DEL SUD)


La Vergine apparsa nella Corea del Sud, con lacrimazioni e visioni ad una semplice madre di famiglia, Julia Youn Hong-Son, ci avverte quale pessima strada abbiamo intrapreso e come ne possiamo uscire fuori. I testi qui di seguito riportati sono stati tratti dai “Messaggi della Vergine di Naju”. Mendicante Celeste, a cura di Raymond Spies, Ed. Segno, Udine 1995.

Ecco cosa ci dice la Madre di Dio sul nostro percorso storico: “Un grandissimo numero di anime, per colpa degli aborti, percorre la via dell’inferno. Devo quindi appellarmi con le mie lacrime per salvare tutte queste anime” (mss, 2 maggio 1987).
La Madonna è coinvolta in prima persona dalle nostre scelte familiari: “Per colpa del controllo anarchico delle nascite, soffro come se le mie viscere si stessero per lacerare. Colpa della crudeltà e dell’empietà degli uomini, colpa del disprezzo della nobiltà della vita. E, a causa di ciò, bimbi appena concepiti vengono spogliate della loro dignità umana e trattati come se fossero semplici grumi di sangue... Pregate e cercate di riparare i peccati che si commettono la notte” (mss, 5 novembre 1986).
Per farsi comprendere meglio la Madre di Dio permette alla veggente Julia di conoscere in modo empirico lo strazio della Madre celeste: “Erano le 15,40. Il mio corpo cominciò a gonfiarsi ed a rotolarsi per tutta la stanza, provando i dolori del parto e i dolori degli embrioni. Fu allora che entrai in estasi e intesi la Vergine.
La Vergine: "Figlia mia benamata! Potrai tu soffrire di più?”.
Julia: "Sì, Madre. Se almeno io posso ottenere la salvezza di coloro che uccidono i bambini, io sono del tutto pronta a sopportare non m’importa quale dolore".
La Vergine: "Grazie, figlia mia! Grazie alle sofferenze che tu sopporterai oggi, cinquemila anime convertite saranno offerte a Dio. Bisogna farlo sapere a molte anime (far sapere che spetta a noi far penitenza al posto di queste anime). Ricordando i bambini che esse hanno rifiutato con l’aborto, molte anime riceveranno la grazia della conversione. Perché molte anime camminano miseramente per la strada dell’inferno, non sapendo che esse sono degli assassini, perché ammazzano senza pietà alcuna (i loro piccoli). Dopo averli privati della loro dignità umana, quale supplizio può ben essere più atroce di quello di queste piccole vite, costrette a subire castighi mostruosi che tocca i genitori stessi di subire? E si tratta di piccole vite senza peccato! Io non posso non sentirmi triste di fronte all’ignoranza e all’indifferenza dei genitori che sono giunti ad uccidere delle vite sacre che Dio aveva loro affidato, calpestandole brutalmente con i piedi, pestandole, schiacciandole e dilaniandole crudelmente. E per questo che mostrandoti lo spettacolo delle “piccole vite”, che implorano di lasciarle vivere, io desidero che molti peccatori facciano penitenza e ritornino a me. Io ti prego di far sapere a tutti che, dal momento in cui “una piccola vita” è formata nel grembo di sua madre, essa non è più un grumo di sangue, bensì un essere in cui circola la vita".
Julia: "Sì, Madre! Io mi auguro che tutto ciò che voi desiderate si realizzi".
Fu allora che io cominciai a soffrire, provando nausea, prendendo la posizione di un embrione e tenendo le ginocchia con le due mani incrociate, con i piedi raggomitolati.
Al momento in cui si cerca di provocare l’espulsione della creatura, io gridai a gran voce: "No! No! No!" a causa del dolore provocato dallo strumento di ferro che affondava profondamente. Fu un grido stridulo, inesprimibile. Era la piccola creatura che tentava di sottrarsi gridando: "Mamma! mamma! Mamma!".
Non si può davvero dire che questo tormento sia stato meno atroce di quello dell’inferno. Io mi dibattevo talmente, saltando, rotolandomi attraverso la stanza, mentre il mio corpo aveva assunto la forma di un bebè (la forma di un embrione, nel seno della madre), al punto che Marco e Marta non riuscivano più a tenermi.
Essi dovettero chiamare varie altre persone per farsi aiutare, perché erano sfiniti.
Il bambino che desiderava vivere supplicava la sua mamma: "Mamma, no! No, mamma! Mamma, no! Io voglio vivere, mamma! Fammi vivere! Fammi vivere, mamma! mamma! mamma! Mamma!...!.
Era un embrione che, desideroso di vivere, tentava di sottrarsi, non cessando di gridare e piangere.
Coloro che in quel momento mi stavano attorno mi dissero dopo che, se quello non fosse stato un "mistero soprannaturale", io non avrei potuto agitarmi in quella maniera, così violentemente, per la durata di tre ore. In effetti, io avevo provato durante tutto quel tempo le sofferenze di un embrione e quelle del parto, e questo in uno stato di spossatezza totale, sfinita anche per non aver mangiato da molto tempo.
Dovetti soffrire quattro volte le sofferenze di embrioni...
Coloro che mi avevano aiutato mi dissero d’aver pianto tanto vedendomi soffrire così e trovandosi nell’impossibilità, sul momento, di pregare...” (mss, 29 luglio 1988).

Se le gestanti meditassero su queste parole, credo che poche, o forse, nessuna, cederebbe alla lusinga dell’aborto come escamotage per una vita facile. In realtà dopo l’aborto la vita è quasi sempre un inferno!
E cosa dire alle donne che hanno abortito? Quale rimedio per farle uscire dall’angoscia, dal peccato e dalla violenza fatta ai feti viventi e, in ultima analisi, a se stesse? Innanzitutto queste donne devono avvicinarsi al sacramento della riconciliazione, dove trovare la pace con Dio attraverso il suo mediatore competente, cioè il vescovo o un sacerdote da lui delegato per assolvere il peccato di aborto. Poi, dopo aver trovato la pace con Dio bisogna trovare la pace con i figli uccisi dall’aborto. E qui, bisogna rimediare alla violenza a loro fatta riconoscendo sia ai figli abortiti in modo artificiale sia quelli abortiti in modo naturale (nati morti), la loro dignità di essere umani e di esseri familiari dando un NOME a ciascuno di questi bimbi non nati. In tal modo questi esseri segnati dalla violenza, la cui violenza può turbare la serenità della famiglia con ripercussioni a volte imprevedibili (come strani incidenti casalinghi, malattie insospettabili, malesseri improvvisi, incubi notturni) ritrovano la PACE, spezzando in tal modo quel cerchio di violenza che ha coinvolto l’intera famiglia e, a volte, le generazioni successive. Afferma il dottore Kenneth McAll, che questi bimbi non nati: “se non hanno un nome oppure il nome che avrebbero dovuto ricevere è stato dato al bambino nato dopo di loro, si infuriano” (cfr. Il Segno del Soprannaturale, maggio 2000, p. 21. Presso le Edizioni Segno vi sono due importanti libri su questo argomento: La Guarigione dalle infestazioni e Guida alla Guarigione dell’albero genealogico).
Anche Maria Simma conferma tale tesi, aggiungendo che per giungere in paradiso è importante che il non-nato riceva il nome dalla madre, affinché questo sia scritto nel Libro della Vita e far parte a pieno titolo della comunione dei santi: “(La madre) deve dare un nome al suo bambino perché si senta accolto ed amato in quella famiglia a cui appartiene in modo così preciso e perché possa essere trascritto nel Libro della Vita. Deve chiedere perdono a quel piccolo. Ed infine deve farlo battezzare e fargli dire una Messa (da Fateci uscire da qui, ed. Segno) Dalla comune e spersonale esperienza ho constatato come sia liberatoria per la madre e la famiglia il riconoscimento parentale ai figli non nati attraverso una piccola liturgia battesimale.
In tal modo si ottiene la pace e l’amore di coloro che furono crudelmente rifiutati e si ristabilisce l’ordine voluto da Dio.

Antonio Norrito

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