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sabato 31 ottobre 2009

Gli studi di Leonardo Da Vinci sulla vita prenatale


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Leonardo da Vinci e la vita prenatale: ma ci voleva un genio per chiamarlo bambino?


“Il putto dentro a la matrice ha tre panniculi che lo circondano. Et tutte se coniungino con lo umbelico il quale è composto da vene”.
Sono le parole che Leonardo da Vinci scriveva a margine dei suoi bozzetti anatomici, ora raccolti nel Codice Windsor, di cui ricorre il cinquecentesimo anniversario (1509-2009).

Sono disegni stupendi che mostrano le fattezze del feto, e ne descrivono la fisiologia come mai fatto prima. Ne descrivono anche certe caratteristiche psicologiche, precorrendo l’evidenza scientifica di secoli: “Una medesima anima governa questi due corpi; e li desideri e le paure e i dolori sono comuni sì a essa creatura come a tutti li altri membri animati. E di qui nasce che la cosa desiderata dalla madre sono trovate scolpite in quelle membra del figliolo. E una subita paura ammazza la madre e il figliolo”.
Come non vedere in queste parole quanto la moderna psicologia ha accertato sull’imprinting prenatale dei sentimenti? E di come processi depressivi materni in gravidanza possano restare impressi nel figlio a distanza di anni?
Quello che colpisce di queste note è anche un altro punto molto attuale: non vi compare mai la parola “feto”. Parlando del figlio, Leonardo usa solo il termine “putto”, alternandolo con “figliolo”. Questo suggerisce una considerazione: da quando si è iniziato a usare un termine specifico - feto - per indicare il figlio non ancora nato? Sembra strano, ma una distinzione netta è veramente recente.

venerdì 30 ottobre 2009

Il sorriso di quel figlio non voluto - Testimonianza di Cinzia

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Questa lettera è apparsa su Famiglia Cristiana n. 44 /2009, nella rubrica "Colloqui col Padre" a cura di Don Antonio.

Ho 38 anni, sono sposata e le scrivo dalla provincia di Lecce. Vorrei raccontarle un'esperienza che, purtroppo, mi ha cambiato la vita.
Circa sette mesi fa, ho deciso di abortire. Che cosa mi abbia spinto a un gesto così estremo, forse non lo so nemmeno io. So solo che, da quel giorno, la mia vita è stata solo pianto e disperazione.
Sono mamma di due bambini di tre e un anno. Quest'ultimo, al momento del fatto, aveva appena nove mesi. Essendo madre già di due bambini piccoli,  mi sono lasciata prendere dallo sconforto, pensavo che non sarei stata in grado di dare loro un futuro.

Premesso che lavorava solo mio marito, le prospettive per noi gente del Sud non sono rosee.
Già con la nascita del secondo figlio ci siamo trovati in serie difficoltà economiche. Ma questo non giustifica nulla, l'ho capito dopo, perchè quello a cui ho rinunciato è stato un immenso amore.
Mi è rimasto un senso di vuoto e di amarezza incolmabile. Mentre le scrivo, continuo a piangere.
Non ho avuto fede sufficiente per accettare una nuova vita. In certi momenti, do la colpa anche a mio marito e alla mia famiglia, accusandoli di non avermi aiutata. Ma la verità è che mi sono rovinata da sola.
Da quel giorno, ho perso tutto, anche il gusto delle cose semplici. Lo stesso dolore dolce sorriso del mio figlio più piccolo mi fa disperare, immaginando quale sarebbe stato quello del figlio che non ho voluto.
Mi creda, in quei giorni il Signore mi aveva dato molti segni perchè rinunciassi a quel gesto estremo, ma non ho voluto capire, nonostante sia una credente.

Progetto Gemma: un'adozione a distanza per i bambini non ancora nati


Adotta una mamma. Aiuti il suo bambino!

Nato nel 1994, il Progetto Gemma è già abbastanza noto. Attraverso di esso fino all'inizio del 2000 sono stati aiutati a nascere oltre 3200 bambini e altrettante giovani mamme.
L'idea è nata dall'esperienza dei Centri di aiuto alla vita il cui programma fin dall'origine si può riassumere nello slogan: "Le difficoltà della vita non si superano sopprimendo la vita ma superando insieme le difficoltà". Nella logica del Movimento per la vita difendere il diritto alla vita del bambino non ancora nato non significa mettersi "contro" la madre, ma "accanto" a lei. Insieme per superare le difficoltà.
L'aborto volontario in Italia è largamente motivato da ragioni culturali e psicologiche, ma non mancano le difficoltà economiche. E' inaccettabile che uno Stato e una comunità che si ispirano alla solidarietà consentano che una vita appena sbocciata sia soppressa per ragioni economiche.
Il volontariato cristiano e non cristiano da tempo ha scoperto una forma di aiuto economico da offrire periodicamente ai poveri, specialmente ai bambini, dei paesi in via di sviluppo. Si chiama "Adozione a distanza". Anche il Movimento per la vita partecipa a questa gara di solidarietà.
Ma al bambino che deve nascere, il più bambino tra i bambini e il più povero tra i poveri, minacciato di morte per le difficoltà dei suoi genitori chi ci pensa?
Ecco l'idea di una adozione a distanza prenatale, che applica in Italia ai bambini non ancora nati e alle loro madri uno strumento di solidarietà già usato per gli abbandonati e i poveri del Terzo Mondo.
Gemma è la pietra preziosa che dà nome al servizio perchè ricorda la parabola evangelica che ci invita a vendere tutto pur di acquistarla. Gemma è il germoglio che dà nome al servizio perchè germoglio è ogni nuovo concepito e ogni gesto di accoglienza dei suoi genitori e della società che lo accolgono.
L'adozione prenatale a distanza non è una adozione in senso giuridico, come non lo sono tutte le adozioni a distanza. Il legame tra la madre che viene assistita con il suo bambino e gli "adottanti" è solo spirituale. Ma non per questo il vincolo è meno intenso. Tuttavia nei rapporti tra adottanti e adottati vale l'anonimato.

La culla termica


Aspetti un bambino ma sei in gravi difficoltà?  
Hai appena partorito il tuo bambino ma proprio non ce la fai a tenerlo? 
Prima di prendere decisioni drastiche leggi qui!
 

L’abbandono di figli non voluti è sempre stata una pratica diffusa in tutte le epoche e presso tutte le popolazioni. I bambini, in particolare i neonati, erano considerati come oggetti.
Alcune non ne permettevano l’uccisione, però consentivano di abbandonare o vendere i figli illegittimi. Altre consentivano l’abbandono e l’infanticidio.

In Italia esistono numerose leggi che tutelano la madre e il neonato, intesi come persone distinte, ognuno con specifici diritti.
In ospedale ogni donna ha il diritto di esprimere la sua volontà di non riconoscere il neonato alla nascita ed ha diritto alla riservatezza sulla propria identità.
La futura madre deve essere informata sui suoi diritti e sulle sue possibilità.
Il neonato è riconosciuto dalla nostra legge come “persona” cui è attribuita la capacità giuridica, cioè la titolarità di diritti, anzitutto come ad ogni essere umano i diritti inviolabili della persona, il diritto al nome, alla cittadinanza, alla educazione e alla crescita in una famiglia, anche diversa da quella di origine.

Negli ultimi decenni giornali e televisione hanno riportato alla luce casi di ritrovamento di neonati abbandonati per strada o nei cassonetti.
Tali episodi si verificano per motivi diversi e complessi, riconducibili a situazioni di disagio sociale ed economico, alla mancanza di un’informazione adeguata alle donne sulle opportunità loro offerte sia sul piano giuridico sia su quello dell’aiuto socio-assistenziale e sanitario.
Dietro questi gesti estremi ci sono donne disperate che spesso non sanno di avere un’alternativa, donne che non hanno nessuna possibilità di prendersi cura del proprio bambino a causa della realtà in cui vivono e della società, o gruppo sociale, con cui si rapportano.

mercoledì 28 ottobre 2009

Giornata di digiuno e preghiera dell’Apostolato “Giovani per la Vita”

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Da Gerusalemme appello contro la Ru486

GERUSALEMME, mercoledì 28 ottobre 20009
Nei Paesi economicamente più sviluppati, le legislazioni contrarie alla vita sono molto diffuse e hanno ormai condizionato il costume e la prassi, contribuendo a diffondere una mentalità antinatalista che spesso si cerca di trasmettere anche ad altri Stati come se fosse un progresso culturale (Caritas in Veritate, n. 28)”.
Nell’ultima Lettera Enciclica di Papa Benedetto XVI leggiamo queste parole che spingono oggi l’Apostolato “Giovani per la Vita” e tutti coloro che credono nel valore della vita dal concepimento alla morte naturale, a porsi in una posizione di disapprovazione all’inizio della sperimentazione della pillola abortiva Ru486.
Venerdì 30 ottobre, in tutta Italia e nel mondo, è stata promossa, nel giorno in cui ricordiamo la Passione di Nostro Signore, una Giornata di digiuno e preghiera (http://www.facebook.com/event.php?eid=190686966101&ref=mf) per chiedere la potente intercessione di Maria Ausiliatrice, affinchè la sperimentazione della commercializzazione della pillola abortiva Ru486 non abbia inizio.
Il messaggio della Giornata nasce dall’idea dell’Apostolato “Giovani per la Vita” (www.youthfl.org), che da poco ha festeggiato il primo anniversario.
L’Apostolato si propone la diffusione della difesa della vita, soprattutto attraverso la preghiera dell’Adozione Spirituale, ed è attento ai momenti storici e alle urgenze che viviamo ogni giorno. L’invito, partendo da facebook, sta facendo il giro del web, dei giornali e della televisione.
Questa Giornata vuole anche essere un richiamo all’importante tema della difesa della vita in generale, dal concepimento alla morte naturale.
Questo evento è anche testimone in queste ore di forti condivisioni di vita sul tema che rinforzano e spronano ad andare avanti e a sentirsi ogni giorno sempre più uniti. Il Servo di Dio Giovanni Paolo II diceva che chi uccide i propri figli, uccide la propria Nazione. Questo deve essere ancora oggi per noi un forte monito a non smettere mai di credere che si possa creare una società migliore basata sui veri valori.


Norme in materia di procreazione medicalmente assistita


Legge 19 febbraio 2004, n. 40
"Norme in materia di procreazione medicalmente assistita"
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 45 del 24 febbraio 2004 


CAPO I
PRINCÌPI GENERALI

ART. 1.
(Finalità).
1. Al fine di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità umana è consentito il ricorso alla procreazione medicalmente assistita, alle condizioni e secondo le modalità previste dalla presente legge, che assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito.
2. Il ricorso alla procreazione medicalmente assistita è consentito qualora non vi siano altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere le cause di sterilità o infertilità.

ART. 2.
(Interventi contro la sterilità e la infertilità).
1. Il Ministro della salute, sentito il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, può promuovere ricerche sulle cause patologiche, psicologiche, ambientali e sociali dei fenomeni della sterilità e della infertilità e favorire gli interventi necessari per rimuoverle nonché per ridurne l'incidenza, può incentivare gli studi e le ricerche sulle tecniche di crioconservazione dei gameti e può altresí promuovere campagne di informazione e di prevenzione dei fenomeni della sterilità e della infertilità.
2. Per le finalità di cui al comma 1 è autorizzata la spesa massima di 2 milioni di euro a decorrere dal 2004.
3. All'onere derivante dall'attuazione del comma 2 si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2004-2006, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2004, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero della salute. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

ART. 3.
(Modifica alla legge 29 luglio 1975, n. 405).
1. Al primo comma dell'articolo 1 della legge 29 luglio 1975, n. 405, sono aggiunte, in fine, le seguenti lettere:"d-bis) l'informazione e l'assistenza riguardo ai problemi della sterilità e della infertilità umana, nonché alle tecniche di procreazione medicalmente assistita;d-ter) l'informazione sulle procedure per l'adozione e l'affidamento familiare".
2. Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.


CAPO II
ACCESSO ALLE TECNICHE

ART. 4.
(Accesso alle tecniche).
1. Il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita è consentito solo quando sia accertata l'impossibilità di rimuovere altrimenti le cause impeditive della procreazione ed è comunque circoscritto ai casi di sterilità o di infertilità inspiegate documentate da atto medico nonché ai casi di sterilità o di infertilità da causa accertata e certificata da atto medico.

2. Le tecniche di procreazione medicalmente assistita sono applicate in base ai seguenti princípi:a) gradualità, al fine di evitare il ricorso ad interventi aventi un grado di invasività tecnico e psicologico più gravoso per i destinatari, ispirandosi al principio della minore invasività;b) consenso informato, da realizzare ai sensi dell'articolo 6.
3. È vietato il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo.

ART. 5.
(Requisiti soggettivi).
1. Fermo restando quanto stabilito dall'articolo 4, comma 1, possono accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi.

ART. 6.
(Consenso informato).
1. Per le finalità indicate dal comma 3, prima del ricorso ed in ogni fase di applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita il medico informa in maniera dettagliata i soggetti di cui all'articolo 5 sui metodi, sui problemi bioetici e sui possibili effetti collaterali sanitari e psicologici conseguenti all'applicazione delle tecniche stesse, sulle probabilità di successo e sui rischi dalle stesse derivanti, nonché sulle relative conseguenze giuridiche per la donna, per l'uomo e per il nascituro. Alla coppia deve essere prospettata la possibilità di ricorrere a procedure di adozione o di affidamento ai sensi della legge 4 maggio 1983, n. 184, e successive modificazioni, come alternativa alla procreazione medicalmente assistita. Le informazioni di cui al presente comma e quelle concernenti il grado di invasività delle tecniche nei confronti della donna e dell'uomo devono essere fornite per ciascuna delle tecniche applicate e in modo tale da garantire il formarsi di una volontà consapevole e consapevolmente espressa.
2. Alla coppia devono essere prospettati con chiarezza i costi economici dell'intera procedura qualora si tratti di strutture private autorizzate.
3. La volontà di entrambi i soggetti di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita è espressa per iscritto congiuntamente al medico responsabile della struttura, secondo modalità definite con decreto dei Ministri della giustizia e della salute, adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge. Tra la manifestazione della volontà e l'applicazione della tecnica deve intercorrere un termine non inferiore a sette giorni. La volontà può essere revocata da ciascuno dei soggetti indicati dal presente comma fino al momento della fecondazione dell'ovulo.
4. Fatti salvi i requisiti previsti dalla presente legge, il medico responsabile della struttura può decidere di non procedere alla procreazione medicalmente assistita, esclusivamente per motivi di ordine medico-sanitario. In tale caso deve fornire alla coppia motivazione scritta di tale decisione.
5. Ai richiedenti, al momento di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, devono essere esplicitate con chiarezza e mediante sottoscrizione le conseguenze giuridiche di cui all'articolo 8 e all'articolo 9 della presente legge.

ART. 7.
(Linee guida).
1. Il Ministro della salute, avvalendosi dell'Istituto superiore di sanità, e previo parere del Consiglio superiore di sanità, definisce, con proprio decreto, da emanare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, linee guida contenenti l'indicazione delle procedure e delle tecniche di procreazione medicalmente assistita.
2. Le linee guida di cui al comma 1 sono vincolanti per tutte le strutture autorizzate.
3. Le linee guida sono aggiornate periodicamente, almeno ogni tre anni, in rapporto all'evoluzione tecnico-scientifica, con le medesime procedure di cui al comma 1.


CAPO III
DISPOSIZIONI CONCERNENTI LA TUTELA DEL NASCITURO

ART. 8.
(Stato giuridico del nato).
1. I nati a seguito dell'applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita hanno lo stato di figli legittimi o di figli riconosciuti della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime ai sensi dell'articolo 6.

ART. 9.
(Divieto del disconoscimento della paternità e dell'anonimato della madre).

1. Qualora si ricorra a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo in violazione del divieto di cui all'articolo 4, comma 3, il coniuge o il convivente il cui consenso è ricavabile da atti concludenti non può esercitare l'azione di disconoscimento della paternità nei casi previsti dall'articolo 235, primo comma, numeri 1) e 2), del codice civile, né l'impugnazione di cui all'articolo 263 dello stesso codice.
2. La madre del nato a seguito dell'applicazione di tecniche di procreazione medicalmente assistita non può dichiarare la volontà di non essere nominata, ai sensi dell'articolo 30, comma 1, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396.
3. In caso di applicazione di tecniche di tipo eterologo in violazione del divieto di cui all'articolo 4, comma 3, il donatore di gameti non acquisisce alcuna relazione giuridica parentale con il nato e non può far valere nei suoi confronti alcun diritto né essere titolare di obblighi.


CAPO IV
REGOLAMENTAZIONE DELLE STRUTTURE AUTORIZZATE ALL'APPLICAZIONE DELLE TECNICHE DI PROCREAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA

ART. 10.
(Strutture autorizzate).
1. Gli interventi di procreazione medicalmente assistita sono realizzati nelle strutture pubbliche e private autorizzate dalle regioni e iscritte al registro di cui all'articolo 11.
2. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano definiscono con proprio atto, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge:a) i requisiti tecnico-scientifici e organizzativi delle strutture;b) le caratteristiche del personale delle strutture;c) i criteri per la determinazione della durata delle autorizzazioni e dei casi di revoca delle stesse;d) i criteri per lo svolgimento dei controlli sul rispetto delle disposizioni della presente legge e sul permanere dei requisiti tecnico-scientifici e organizzativi delle strutture.

ART. 11.
(Registro).
1. È istituito, con decreto del Ministro della salute, presso l'Istituto superiore di sanità, il registro nazionale delle strutture autorizzate all'applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita, degli embrioni formati e dei nati a seguito dell'applicazione delle tecniche medesime.
2. L'iscrizione al registro di cui al comma 1 è obbligatoria.
3. L'Istituto superiore di sanità raccoglie e diffonde, in collaborazione con gli osservatori epidemiologici regionali, le informazioni necessarie al fine di consentire la trasparenza e la pubblicità delle tecniche di procreazione medicalmente assistita adottate e dei risultati conseguiti.
4. L'Istituto superiore di sanità raccoglie le istanze, le informazioni, i suggerimenti, le proposte delle società scientifiche e degli utenti riguardanti la procreazione medicalmente assistita.
5. Le strutture di cui al presente articolo sono tenute a fornire agli osservatori epidemiologici regionali e all'Istituto superiore di sanità i dati necessari per le finalità indicate dall'articolo 15 nonché ogni altra informazione necessaria allo svolgimento delle funzioni di controllo e di ispezione da parte delle autorità competenti.
6. All'onere derivante dall'attuazione del presente articolo, determinato nella misura massima di 154.937 euro a decorrere dall'anno 2004, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2004-2006, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2004, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero della salute. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.


CAPO V
DIVIETI E SANZIONI

ART. 12.
(Divieti generali e sanzioni).
1. Chiunque a qualsiasi titolo utilizza a fini procreativi gameti di soggetti estranei alla coppia richiedente, in violazione di quanto previsto dall'articolo 4, comma 3, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 300.000 a 600.000 euro.
2. Chiunque a qualsiasi titolo, in violazione dell'articolo 5, applica tecniche di procreazione medicalmente assistita a coppie i cui componenti non siano entrambi viventi o uno dei cui componenti sia minorenne ovvero che siano composte da soggetti dello stesso sesso o non coniugati o non conviventi è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 200.000 a 400.000 euro.
3. Per l'accertamento dei requisiti di cui al comma 2 il medico si avvale di una dichiarazione sottoscritta dai soggetti richiedenti. In caso di dichiarazioni mendaci si applica l'articolo 76, commi 1 e 2, del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.
4. Chiunque applica tecniche di procreazione medicalmente assistita senza avere raccolto il consenso secondo le modalità di cui all'articolo 6 è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 50.000 euro.
5. Chiunque a qualsiasi titolo applica tecniche di procreazione medicalmente assistita in strutture diverse da quelle di cui all'articolo 10 è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 100.000 a 300.000 euro.
6. Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro.
7. Chiunque realizza un processo volto ad ottenere un essere umano discendente da un'unica cellula di partenza, eventualmente identico, quanto al patrimonio genetico nucleare, ad un altro essere umano in vita o morto, è punito con la reclusione da dieci a venti anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro. Il medico è punito, altresí, con l'interdizione perpetua dall'esercizio della professione.
8. Non sono punibili l'uomo o la donna ai quali sono applicate le tecniche nei casi di cui ai commi 1, 2, 4 e 5.
9. È disposta la sospensione da uno a tre anni dall'esercizio professionale nei confronti dell'esercente una professione sanitaria condannato per uno degli illeciti di cui al presente articolo, salvo quanto previsto dal comma 7.
10. L'autorizzazione concessa ai sensi dell'articolo 10 alla struttura al cui interno è eseguita una delle pratiche vietate ai sensi del presente articolo è sospesa per un anno. Nell'ipotesi di più violazioni dei divieti di cui al presente articolo o di recidiva l'autorizzazione può essere revocata.


CAPO VI
MISURE DI TUTELA DELL'EMBRIONE

ART. 13.
(Sperimentazione sugli embrioni umani).
1. È vietata qualsiasi sperimentazione su ciascun embrione umano.
2. La ricerca clinica e sperimentale su ciascun embrione umano è consentita a condizione che si perseguano finalità esclusivamente terapeutiche e diagnostiche ad essa collegate volte alla tutela della salute e allo sviluppo dell'embrione stesso, e qualora non siano disponibili metodologie alternative.
3. Sono, comunque, vietati:a) la produzione di embrioni umani a fini di ricerca o di sperimentazione o comunque a fini diversi da quello previsto dalla presente legge;b) ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni e dei gameti ovvero interventi che, attraverso tecniche di selezione, di manipolazione o comunque tramite procedimenti artificiali, siano diretti ad alterare il patrimonio genetico dell'embrione o del gamete ovvero a predeterminarne caratteristiche genetiche, ad eccezione degli interventi aventi finalità diagnostiche e terapeutiche, di cui al comma 2 del presente articolo;c) interventi di clonazione mediante trasferimento di nucleo o di scissione precoce dell'embrione o di ectogenesi sia a fini procreativi sia di ricerca;d) la fecondazione di un gamete umano con un gamete di specie diversa e la produzione di ibridi o di chimere.
4. La violazione dei divieti di cui al comma 1 è punita con la reclusione da due a sei anni e con la multa da 50.000 a 150.000 euro. In caso di violazione di uno dei divieti di cui al comma 3 la pena è aumentata. Le circostanze attenuanti concorrenti con le circostanze aggravanti previste dal comma 3 non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste.
5. È disposta la sospensione da uno a tre anni dall'esercizio professionale nei confronti dell'esercente una professione sanitaria condannato per uno degli illeciti di cui al presente articolo.

ART. 14.
(Limiti all'applicazione delle tecniche sugli embrioni).
1. È vietata la crioconservazione e la soppressione di embrioni, fermo restando quanto previsto dalla legge 22 maggio 1978, n. 194.
2. Le tecniche di produzione degli embrioni, tenuto conto dell'evoluzione tecnico-scientifica e di quanto previsto dall'articolo 7, comma 3, non devono creare un numero di embrioni superiore a quello strettamente necessario ad un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre.
3. Qualora il trasferimento nell'utero degli embrioni non risulti possibile per grave e documentata causa di forza maggiore relativa allo stato di salute della donna non prevedibile al momento della fecondazione è consentita la crioconservazione degli embrioni stessi fino alla data del trasferimento, da realizzare non appena possibile.
4. Ai fini della presente legge sulla procreazione medicalmente assistita è vietata la riduzione embrionaria di gravidanze plurime, salvo nei casi previsti dalla legge 22 maggio 1978, n. 194.
5. I soggetti di cui all'articolo 5 sono informati sul numero e, su loro richiesta, sullo stato di salute degli embrioni prodotti e da trasferire nell'utero.
6. La violazione di uno dei divieti e degli obblighi di cui ai commi precedenti è punita con la reclusione fino a tre anni e con la multa da 50.000 a 150.000 euro.
7. È disposta la sospensione fino ad un anno dall'esercizio professionale nei confronti dell'esercente una professione sanitaria condannato per uno dei reati di cui al presente articolo.
8. È consentita la crioconservazione dei gameti maschile e femminile, previo consenso informato e scritto.
9. La violazione delle disposizioni di cui al comma 8 è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 50.000 euro.


CAPO VII
DISPOSIZIONI FINALI E TRANSITORIE

ART. 15.
(Relazione al Parlamento).
1. L'Istituto superiore di sanità predispone, entro il 28 febbraio di ciascun anno, una relazione annuale per il Ministro della salute in base ai dati raccolti ai sensi dell'articolo 11, comma 5, sull'attività delle strutture autorizzate, con particolare riferimento alla valutazione epidemiologica delle tecniche e degli interventi effettuati.
2. Il Ministro della salute, sulla base dei dati indicati al comma 1, presenta entro il 30 giugno di ogni anno una relazione al Parlamento sull'attuazione della presente legge.

ART. 16.
(Obiezione di coscienza).
1. Il personale sanitario ed esercente le attività sanitarie ausiliarie non è tenuto a prendere parte alle procedure per l'applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita disciplinate dalla presente legge quando sollevi obiezione di coscienza con preventiva dichiarazione. La dichiarazione dell'obiettore deve essere comunicata entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge al direttore dell'azienda unità sanitaria locale o dell'azienda ospedaliera, nel caso di personale dipendente, al direttore sanitario, nel caso di personale dipendente da strutture private autorizzate o accreditate.
2. L'obiezione può essere sempre revocata o venire proposta anche al di fuori dei termini di cui al comma 1, ma in tale caso la dichiarazione produce effetto dopo un mese dalla sua presentazione agli organismi di cui al comma 1.
3. L'obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attività sanitarie ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specificatamente e necessariamente dirette a determinare l'intervento di procreazione medicalmente assistita e non dall'assistenza antecedente e conseguente l'intervento.

ART. 17.
(Disposizioni transit-orie).
1. Le strutture e i centri iscritti nell'elenco predisposto presso l'Istituto superiore di sanità ai sensi dell'ordinanza del Ministro della sanità del 5 marzo 1997, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 55 del 7 marzo 1997, sono autorizzati ad applicare le tecniche di procreazione medicalmente assistita, nel rispetto delle disposizioni della presente legge, fino al nono mese successivo alla data di entrata in vigore della presente legge.
2. Entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, le strutture e i centri di cui al comma 1 trasmettono al Ministero della salute un elenco contenente l'indicazione numerica degli embrioni prodotti a seguito dell'applicazione di tecniche di procreazione medicalmente assistita nel periodo precedente la data di entrata in vigore della presente legge, nonché, nel rispetto delle vigenti disposizioni sulla tutela della riservatezza dei dati personali, l'indicazione nominativa di coloro che hanno fatto ricorso alle tecniche medesime a seguito delle quali sono stati formati gli embrioni. La violazione della disposizione del presente comma è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da 25.000 a 50.000 euro.
3. Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge il Ministro della salute, avvalendosi dell'Istituto superiore di sanità, definisce, con proprio decreto, le modalità e i termini di conservazione degli embrioni di cui al comma 2.

ART. 18.
(Fondo per le tecniche di procreazione medicalmente assistita).
1. Al fine di favorire l'accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita da parte dei soggetti di cui all'articolo 5, presso il Ministero della salute è istituito il Fondo per le tecniche di procreazione medicalmente assistita. Il Fondo è ripartito tra le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano sulla base di criteri determinati con decreto del Ministro della salute, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.
2. Per la dotazione del Fondo di cui al comma 1 è autorizzata la spesa di 6,8 milioni di euro a decorrere dall'anno 2004.
3. All'onere derivante dall'attuazione del presente articolo si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2004-2006, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2004, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero medesimo. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

"Una minaccia di depressione non giustifica la soppressione di una vita"

La posizione della Chiesa: «Questa pratica disumana costituisce un ulteriore abuso rispetto a quelli vietati dalla legge 40 nelle tecniche di riproduzione assistita»

«L’embrione è un essere umano, ogni vita concepita ha pieno diritto di nascere. E’ mostruoso selezionare gli embrioni, cioè decidere a tavolino chi tra i gemelli deve morire». Il cardinale Giovanni Battista Re, ministro vaticano dei Vescovi, punta l’indice contro «un’abominevole violazione della legge naturale» e denuncia «deriva etica che porta a selezionare i feti dopo la fecondazione assistita». E avverte: «L’embrione, per la sua inalienabile dignità, non può mai essere sacrificato. La vita umana non può mai essere considerata un semplice mezzo per ottenere uno scopo».

A Torino, e sicuramente anche nel resto d’Italia, si pratica la “embrioriduzione” sulla base di una consulenza psichiatrica. Una minaccia di depressione giustifica la soppressione di una vita?
«Assolutamente no, i rischi per la salute psichica della madre sono un evidente pretesto per un’odiosa forma eugenetica. Qui si tratta di una eliminazione di esseri umani che provoca una ferita al vivere civile, un’offesa alla giustizia che interpella la coscienza di tutti. La legge naturale non vale solo per i credenti. Questi gemelli atrocemente soppressi sono membri del genere umano, con piena dignità. Questa pratica disumana costituisce un ulteriore abuso rispetto a quelli vietati dalla legge 40 nelle tecniche di riproduzione assistita, ossia il divieto di utilizzo degli embrioni a fini di ricerca, di crioconservazione, di selezione pre-impianto, di distruzione, di clonazione, di fecondazione artificiale eterologa, di riproduzione in menopausa o post mortem».

Quali sono le cause?
«Purtroppo, sempre più spesso, l’embrione viene considerato il mero prodotto di una tecnica. I prodotti si scelgono, si confrontano, si comprano, si scartano se sono difettosi. E quando non servono si buttano o si “riciclano”. In questo modo, però, vengono barbaramente calpestati i principi più sacri, ossia i valori non negoziabili che sono scritti dalla mano di Dio nella nostra natura, nel nostro essere. Selezionando embrioni si eliminano le vite degli altri. Ma ogni vita che nasce ha diritto di continuare, mentre così si sopprimono vite concepite che hanno tutto il diritto di nascere e proseguire il loro cammino».

La Chiesa interferisce con la scienza?
«E’ un principio basilare (non solo della Chiesa, ma di tutte le religioni) salvaguardare il concepito e dunque non eliminare, nelle gravidanze gemellari, uno dei feti. E’ una norma morale iscritta nella natura umana stessa. Con grande onestà anche il biologo della riproduzione Jacques Testart, uno dei pionieri della fecondazione artificiale, ammette che il fatto di avere l’embrione “esposto”, fuori dall’utero materno (cioè in provetta), e quindi “disponibile”, ha accresciuto la tentazione di “sceglierlo”».

Vede un incubo-manipolazione dietro vicende simili?
«Sì. Nel ricorso alle tecnologie riproduttive affiora il pericolo di asettiche valutazioni proposte da alcuni centri per la riproduzione assistita. Non c’è alcuna contraddizione fra scienza e fede, fra Chiesa e ricerca. Semmai, c’è il rischio che la ricerca scientifica proceda come se fosse moralmente neutra, avulsa da qualsiasi considerazione di tipo etico. La Chiesa, esperta in umanità, è assolutamente rigorosa dal punto di vista scientifico nell’individuare l’inizio della vita umana nel momento della fecondazione. Qui in ballo ci sono principi ingiustamente discriminatori nei confronti dei bambini “imperfetti” ovvero quelli che non hanno tutti i requisiti ideali per accontentare la clientela».

Cioè quali?
«Realizzare non il desiderio del bambino, ma il bambino del desiderio, come sintetizza la bioeticista Claudia Navarini. Il pericolo è l’eliminazione selettiva degli embrioni su base genetica o sanitaria, cioè l’uccisione deliberata di esseri umani innocenti. Non si può mettere in discussione tutto, anche un diritto fondamentale come quello alla vita, eppure l’embrione è soggetto di diritti. Accusare la Chiesa di oscurantismo e di anti-scientificità equivale a volerla muta di fronte alla barbarie. Ma la Chiesa da sempre promuove il bene dell’uomo. E si oppone al suo male».
 

Oriana Fallacci

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“... Un figlio non è un dente cariato. Non lo si può estirpare come un dente e buttarlo nella pattumiera, tra il cotone sporco e le garze. Un figlio è una persona, e la vita di una persona è un continuum dall’attimo in cui viene concepito al momento in cui muore...”

(Oriana Fallaci, "Lettera ad un bambino mai nato")



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Gran Bretagna: Aumentano i casi di Sindrome di Down e di conseguenza gli aborti provocati


Solo otto bambini su cento scampano alla "condanna a morte"





Londra. Aumenta il numero di donne che scoprono durante la gravidanza di avere bambini affetti dalla sindrome di Down. Un effetto, secondo i ricercatori della Queen Mary University di Londra, che hanno condotto lo studio, dovuto a migliori diagnosi, ma anche alla decisione di molte donne di ritardare l’eta’ della gravidanza. “In Inghilterra, l’aumento del numero di casi diagnosticati e’ salito del 71 per cento in 20 anni, passando da 1075 casi nel 1989-1990 a 1843 nel 2007-2008″, ha detto Joan Morris, ricercatrice a capo dello studio pubblicato sul British Medical Journal. “Ciò è dovuto principalmente - ha continuato - al miglioramento degli screening rispetto al passato, ma anche alla decisione di avere gravidanze in età avanzata. Rispetto a una 25enne, una donna di 40 anni ha 16 volte più probabilita’ di dare alla luce un bambino Down”. Il numero di donne in gravidanza durante i loro 40 anni è infatti raddoppiato in 10 anni, passando da 11 mila a 22 mila. “Nonostante cio’, il numero di bambini Down che effettivamente vengono alla luce è in realta’ diminuito”, ha detto Morris. “Questo perchè molte coppie eseguono l’amniocentesi, e nel caso di diagnosi di un bambino Down positiva, nel 92 per cento dei casi scelgono di interrompere la gravidanza con l’aborto terapeutico”, ha detto. Come spiega Morris, l’amniocentesi effettuata 20 anni fa poteva causare aborto spontaneo nell’1 per cento dei casi, e quindi veniva consigliata solo per le donne a rischio o oltre i 35 anni di eta’. “Oggi, grazie alle analisi sanguigne possiamo avere risultati accurati e sicuri”, ha aggiunto. Per Alan Cameron, portavoce del Royal College of Obstetricians and Gynaecologists, dare dei valori di possibilita’ statistica alle donne in gravidanza e’ comunque molto difficile. “Spesso questi numeri e cifre non aiutano la madre a comprendere come condurre la sua gravidanza. Un supporto continuo da parte dei medici e’ necessario”, ha detto Cameron. (AGI)


Una candela per i miliardi di bimbi uccisi con l'aborto

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Vi segnalo quest'altra iniziativa promossa dal Movimento Politico Cattolico "Azione e Tradizione" in memoria di tutti i bambini uccisi con l'aborto procurato.

Azione e Tradizione ha lanciato un’altra iniziativa tesa a provocare le coscienze intorpidite: mettere una candela accesa sul balcone della propria abitazione, la vigilia del 2 novembre (commemorazione dei defunti) in ricordo degli oltre 53 milioni di bimbi che ogni anno vengono uccisi con l’aborto. Un gesto semplice ma carico di significato per le anime di questi innocenti “sacrificati sull’altare della democrazia e della libertà di coscienza”.

La stessa iniziativa è publicizzata anche su Facebook a questo link: http://www.facebook.com/home.php?filter=nf#/event.php?eid=162976751945&ref=nf 





Aiuta C-FAM a raccogliere un milione di firme contro l'aborto


Vi segnalo questa nobile ed importante petizione promossa da C-FAM (Catholic Family and Human Rights Institute) per chiedere all'ONU che negli Stati Membri si usi la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani per proteggere dall’aborto i bambini non ancora nati.
Vi riporto qui sotto uno stralcio del testo informativo; per leggere integralmente le ragioni dell'iniziativa visitate: http://www.c-fam.org/campaigns/id.178/default.asp.

Come sapete molte agenzie dell’ONU e molti paesi approvano l’uccisione dei bambini non ancora nati nel grembo materno. Alcuni addirittura chiamano questa uccisione, un diritto. In realta’, la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani afferma il diritto alla vita!
Questa petizione chiede ai membri dell’ONU di ritornare al vero significato del diritto alla vita e chiede alle nazioni e all’ONU stessa di riconoscere che una corretta lettura della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani comincia dal proteggere la vita, specialmente la piu’ indifesa, quella dei bambini non ancora nati.
All’inizio di dicembre, solo fra pochi mesi, presenteremo questo milione di nominativi all’ONU. Li presenteremo al Segretario Generale, ad alcuni Ambasciatori e all’ufficio stampa dell’ONU. Speriamo anche che vengano formalmente presentati all’Assemblea Generale dell’ONU.

Per firmare la petizione in lingua italiana cliccate direttamente su questo link: http://www.c-fam.org/campaigns/lid.5/default.asp 

martedì 27 ottobre 2009

"Manifestazione PER LA VITA - Dopo la Spagna ora in Italia". Una riflessione e una proposta


ROMA - L'iniziativa di realizzare una grande manifestazione a favore della vita nei prossimi mesi a Roma, è nata dalla grande voglia di tutelare il più indifeso, realizzata da tutti e per tutti. Una manifestazione che lasci un messaggio a chi governa l'Italia, ai mezzi di comunicazione che a loro modo condizionano e indirizzano un pensiero. Come dicevo poco tempo fa in un mio articolo, l’uomo, essere sociale per natura, dovrebbe riflettere più seriamente sulle problematiche collegate all’esercizio della sua predisposizione alla socialità. Uno degli strumenti per accrescere la socializzazione (ma non sempre per migliorarla) è la diffusione mass mediatica, strumento mediante il quale avvengono processi di mediazione simbolica in una data comunità di utenti. I mass media sono l’insieme dei mezzi di comunicazione attraverso cui è possibile diffondere un messaggio a un pubblico vasto e indifferenziato. Ormai si può costatare che la comunicazione sia diventata un vero e proprio “strumento di potere” sull’orientamento della popolazione.

Ma ahimè questo strumento non sempre è utilizzato per il bene della società. Infatti, spesso è utilizzato per tramutare la bellezza dell'essere umano in un mero oggetto del consumismo.
La società odierna sembra assopita. Subisce giorno dopo giorno messaggi che annullano la bellezza del vivere. Non reattiva, la società non si rende conto che sta subendo una diseducazione da quel tubo catodico, da quell’informazione che ahimè non è più alla ricerca della verità per il sociale, ma alla continua vendita consumistica, rendendo l'uomo, un oggetto di consumo, riducendo la vita ad una passeggiata all'Ikea, a vestirsi Dolce e Gabbana, ad una spider rosso fiammante, a non rispettare il prossimo perché un giorno potrà non rispettare te, ad eliminare una vita indifesa perché è un peso e una perdita di tempo, ad abituarci che tutto è possibile e non ha regole.

Questa manifestazione vuol far sì che il nostro Paese alzi la testa e faccia capire che non sta lì a subire tutte le non-verità che gli sono raccontate e proposte. La vita non è un business. Non è un prodotto da vendere. L'essere Umano non è in funzione di quello che compra o produce. La vita è quel qualcosa d'imprevedibilmente bello che va tutelato e non trascurato banalizzandone il valore. Vivere per qualcun altro come un continuo donarsi, rispettare il prossimo, capire che una macchina è un oggetto, un mezzo e non una ragione di vita, capire che una persona apparentemente inerte su un letto o dentro la pancia della mamma sa dare molto amore. Proprio per la sua condizione d'essere riesce ad amare di più. E al contrario non vivendo il suo problema con egoismo ma con un sano altruismo, donando quel poco di sé (che è tantissimo) al suo prossimo.

Bhè questa manifestazione, che è nata come progetto sul social network Facebook nel gruppo: "Manifestazione PER LA VITA - Dopo la Spagna ora in Italia" (lo si può raggiungere da qui: http://www.facebook.com/), è il frutto del pensiero di tanti italiani, pronti a scendere in piazza e pacificamente dimostrare, che l’Italia vuole che la Vita del più debole sia tutelata e non strumentalizzata.

(di Emmanuele Di Leo) - 27/10/2009 
Fonte: http://www.papaboys.it/
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Centro vita Mangiagalli: RU486 mette fretta alla donna



(ANSA) MILANO, 27 ottobre 09
La pillola RU486 per l'interruzione volontaria di gravidanza rischia di "mettere fretta alla donna", e di non darle abbastanza tempo per riflettere sulle sue scelte. A dirlo è Paola Marozzi Bonzi, fondatrice e direttrice del Centro di aiuto alla vita, che da 25 anni opera nella Clinica Mangiagalli di Milano, il più grande punto nascita della Lombardia. "Nessuno alla Mangiagalli fa il tifo per la RU486 - dice Marozzi Bonzi - non c'è questa premura di sperimentarla. C'è invece molta attenzione alla donna, e vorremmo far sì che ci sia una situazione più consona perchè possa scegliere liberamente. Trovo però che con la pillola abortiva ci sia un allontanarsi dalla legge 194 sull'interruzione di gravidanza: con la somministrazione della RU486, rispetto a ora ci sarà per la donna meno tempo per riflettere rispetto ai 7 giorni previsti dalla legge 194. E' quasi come mettere fretta alla donna". L'arrivo imminente della pillola, il cui ok definitivo sarà pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 19 novembre, per ora non ha aumentato il numero di richieste alla Mangiagalli. "Al momento le cose non sono cambiate, ma secondo noi questo non è un passo avanti - conclude Marozzi - perchè la donna viene ricacciata nella solitudine, e questo ci spaventa. Per il momento l'uso della pillola sarà in ospedale, ma temiamo che per il futuro solo la somministrazione sarà in ospedale, e poi la donna sarà rimandata a casa, dove è sola".

Federvita e centri di aiuto alla Vita contro la Ru486




ROMA, lunedì  26 ottobre 2009
A seguito del via libera all’uso della pillola Ru486, da parte dell'Agenzia dell'AIFA, la Federazione dei Movimenti per la vita, Centri di aiuto alla vita e Servizi di accoglienza alla Vita dell'Emilia Romagna non possono non pensare ai bimbi concepiti che quotidianamente tentano di salvare, assieme alle loro madri.
Sul diritto di aborto, lo Stato consacra oggi la licenza di uccidere, anche mediante pesticida umano il concepito. Da oggi metteremo anche a serio rischio e pericolo di morte la salute della donna, presente (effetti immediati, di cui esistono studi certamente non esaustivi) e futura (effetti a lungo termine, di cui non esistono studi).
Salute fisica e mentale: i 30 casi documentati di morte per l’uso della Ru486 sono esplicativi delle complicanze a cui può essere soggetta una donna che ricorra all’aborto chimico, mentre secondo uno studio del 1998, pubblicato sul “British Journal of Obstetrics and Gynecology”, il 56% delle donne sottoposte ad aborto chimico ha dichiarato di aver riconosciuto l’embrione, e il 18% ne ha denunciato, come conseguenze, incubi, flash-back e pensieri ricorrenti.
Uno dei teoremi più diffusi e radicati nel mondo medico e nella cultura popolare è quello di pensare che l’aborto volontario sia meno traumatico se effettuato nelle fasi iniziali della gravidanza, consegnando, così la pratica abortiva (e tra queste la Ru486) al criterio della “proporzionalità traumatica”: più piccolo è l’embrione più sicuro e più accettabile è l’aborto, con minori conseguenze per la donna, ma le esperienze del post-aborto sconfessano il teorema.
Ma soprattutto, richiamarsi alla legge 194\78 per legalizzare il commercio della pillola Ru486 ancora una volta nasconde il tentativo da parte dello Stato di derubricare l'impegno di tutela sociale della maternità.
Non si può perseguire nel garantismo di un inesistente diritto di aborto, ma piuttosto bisogna pensare e operare per prevenire l'aborto anche post-concezionale, favorendo cioè la nascita dei figli già concepiti con l'invito alle madri ad un’adeguata riflessione sul valore della vita umana e offrendo alternative al dramma (per il concepito e per la donna) dell’interruzione della gravidanza.
La Ru486 riconduce la pratica abortiva volontaria, sotto l’apparente finalità della precocità e della sicurezza (Il 13% richiede un’evacuazione chirurgica, si veda Ojidu JI et all., m J. Obstet. Gynacol. 2001) nel tunnel dell’aborto fai-da-te (Faucher P. et all., Gynecol. Onstet Fertil. 2005), invertendo e contraddicendo le motivazioni storiche e psico-sociali che hanno persino motivato fortemente la legge 194: un aborto privato, per quanto precoce e sicuro sia, aggiunge solitudine a solitudine.Inoltre, mentre nell’aborto chirurgico l’interruzione di gravidanza viene delegata tecnicamente a una terza persona, nell’aborto chimico da Ru486 è la stessa madre che si auto-somministra il veleno che ucciderà il proprio figlio.
Gli effetti fisici sono gli stessi di un aborto chirurgico eseguito in anestesia: contrazioni, espulsione, emorragia, ma con la Ru486, la donna vive tutto questo in diretta, senza neanche l’assistenza medica. E’ il massimo della responsabilizzazione psicologica o il sicuro aumento di suicidi post-aborto delle donne stesse?
Queste profonde contraddizioni di tipo scientifico, etico e umano non si possono tacere nel momento in cui si va a legalizzare un uso estensivo dell’aborto farmacologico, in una società, quella italiana, già pesantemente colpita da un malessere diffuso che ci fa assistere, sempre più frequentemente, a malattie del corpo e della psiche nelle donne che hanno vissuto l’aborto.
Si obbligherà per legge a dichiarare, sul consenso informato per la donna, che l’aborto farmacologico ha una mortalità dieci volte maggiore, rispetto all’aborto chirurgico? Si avrà il coraggio di dire cosa ci si deve aspettare dopo l'assunzione della pillola per tutti i soggetti coinvolti a cominciare dal concepito ucciso?
La nostra Regione, il cui Assessore è anche membro dell'Aifa, avrà il coraggio della verità in materia di consenso informato? E tutti coloro che firmeranno quei certificati avranno coscienza della disinformazione che ricadrà soprattutto sulle donne non italiane, per le quali è di difficile comprensione anche la lettura di un semplice volantino?

di Antonella Diegoli*

*Antonella Diegoli è presidente regionale di Federvita, la federazione cui fanno capo i Movimenti per la vita e i Centri di Aiuto alla Vita dell’Emilia Romagna

Fonte: http://www.zenit.org/ 


Colombia: la Chiesa respinge le nuove misure pro aborto


Una sentenza giudiziaria ne promuove l'accettazione nelle scuole

BOGOTA', lunedì 26 ottobre 2009
La Corte Costituzionale colombiana ha dato il via libera a una sentenza che permette l'adozione di nuove misure che promuovono la pratica dell'aborto, la cui depenalizzazione è stata approvata nel 2006 per i casi di stupro, malformazione genetica e incesto.
Nella sentenza, i magistrati hanno dato un limite di tre mesi ai Ministeri dell'Istruzione e della Protezione Sociale perché includano nei programmi educativi la promozione dei diritti sessuali e riproduttivi, tra cui l'aborto, che devono essere presentati in “termini semplici e chiari”.
Rendendo nota la notizia, il segretario della Conferenza Episcopale Colombiana, monsignor Juan Vicente Córdoba Villota, ha respinto la nuova sentenza: “Noi educatori cattolici non insegneremo questo. Insegneremo il rispetto della vita”, ha detto in alcune dichiarazioni alla stampa.
“Un popolo cattolico e cristiano, un popolo che non accetta l'aborto, non può permettere che cinque persone, sei persone decidano per 43 milioni di colombiani. Questa non è democrazia”, ha denunciato.
Secondo quanto ha reso noto il quotidiano “El Tiempo” di Bogotà, per assicurare che l'ordine venga rispettato la Corte chiederà alla Procura e alla Defensoría del Popolo di verificare l'applicazione della campagna e di studiarne l'impatto.

Aborto sempre più facile

La sentenza indica anche che la Sovrintendenza per la Salute dovrà assicurare che tutte le entità che prestano servizi sanitari “rispettino il diritto delle donne di abortire”. Per questo, hanno abolito il permesso giudiziario che finora era necessario per effettuare l'aborto in qualunque struttura.
La sentenza è giunta dopo che vari giudici colombiani avevano rifiutato di concedere questo permesso, avvalendosi del diritto all'obiezione di coscienza.
“Per quanto possano essere profonde e rispettabili le convinzioni religiose delle autorità giudiziarie nell'ambito personale, non possono esimersi dal portare avanti un caso sottoposto alla loro considerazione e decidere adducendo motivi di coscienza o basandosi sulle proprie convinzioni morali, disconoscendo il dovere di decidere in conformità con la normativa vigente”, stabilisce la sentenza.
La Corte ha anche ordinato al Tribunale Nazionale di Etica Medica di dare istruzioni a tutte le sue sezioni affinché si aprano indagini sui casi in cui i medici rifiutano di effettuare queste procedure.


lunedì 26 ottobre 2009

Aborto: per gli inglesi un bimbo di 21 settimane è solo un “feto vivente abortito”


In Gran Bretagna una giovane donna, Sarah Capewell, ha dato alla luce un bimbo, Jayden, dopo 21 settimane e cinque giorni di gravidanza.
Il personale sanitario si è rifiutato di sottoporre il bimbo prematuro alle cure intensive che forse gli avrebbero consentito di sopravvivere. La sua colpa era quella di essere nato due giorni prima delle canoniche 22 settimane.

Di fronte all’appello della madre di salvare il proprio figlio, i medici del James Paget Hospital di Gorleston, Norfolk, hanno risposto che lei non aveva partorito un neonato ma, in termini di legge, aveva abortito un feto vivente.

I medici dell’ospedale hanno spiegato a Sarah Capewell che quello che lei si ostinava a chiamare il suo bambino era, in realtà, sotto il profilo giuridico, semplicemente un feto, quindi un soggetto privo di alcun diritto. Jayden avrebbe dovuto nascere 48 ore più tardi perché, secondo regolamento, si potesse definirlo persona, e quindi riconoscergli il diritto a essere salvato.

Le linee guida stabilite dalla British Association of Perinatal Medicine, rigidamente seguite negli ospedali pubblici britannici, stabiliscono, infatti, che deve considerarsi best interest dei bambini non nascere prima delle 22 settimane, e altrettanto best interest far morire i piccoli che abbiano avuto la disavventura di venire al mondo qualche giorno prima della fatidica scadenza. Oltre al fatto che non è stata fornita la benché minima assistenza, è stata decisamente respinta la richiesta della madre di poter celebrare il funerale del bimbo. La risposta delle autorità sanitarie è stata sempre la stessa: «He hasn’t got a human right, he is just a foetus (Egli non ha diritti umani. È solo un feto)».

domenica 25 ottobre 2009

Perù: sospesa la distribuzione della pillola del giorno dopo

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Il Cardinal Cipriani loda la decisione del Tribunale Costituzionale

LIMA, domenica, 25 ottobre 2009 (ZENIT.org).- Il Cardinale Juan Luis Cipriani ha espresso il proprio apprezzamento per la recente sentenza del Tribunale Costituzionale (TC) peruviano che sospende la distribuzione dell'Anticoncezionale Orale d'Emergenza (la cosiddetta "pillola del giorno dopo") di fronte alla possibilità che sia abortivo.
"Lodo la decisione del Tribunale Costituzionale, che è estremamente onesta e parla chiaramente di quegli aspetti per i quali si è presa la decisione. Nella sentenza, c'è una dimostrazione della ricerca della verità attraverso mezzi scientifici e legali. E' dovere dello Stato vegliare sul concepimento dell'essere umano", ha dichiarato l'Arcivescovo di Lima nel programma "Dialogo di Fede" trasmesso questo sabato.
Nel suo intervento, il porporato ha affermato che "bisogna cercare di far sì che il Paese vada avanti. Dedichiamoci a ricercare il bene comune. Non possiamo sostenere un metodo abortivo".
Il Cardinale ha chiesto un Paese più unito, in cui si difenda la libertà d'espressione di tutti e non si sminuisca né si insulti chi la pensa diversamente, perché in questo modo non si rafforza la democrazia né lo Stato di diritto, né tantomeno le istituzioni, come nel caso del Tribunale Costituzionale.

Difendere la vita del più debole è un diritto costituzionale
L'Arcivescovo di Lima ha ricordato che è un dovere dello Stato peruviano difendere la vita fin dal momento del concepimento.
Per questo, ha sottolineato che come non si distribuisce gratuitamente latte andato a male non si deve distribuire nemmeno la "pillola del giorno dopo", quando si menziona la possibilità che questo farmaco attenti contro il diritto alla vita del concepito (diritto difeso dalla Costituzione Politica del Perù, articolo 2.1).
In questo senso, ha escluso che si tratti di una discriminazione dei ricchi contro i poveri, come non pochi mezzi di comunicazione hanno segnalato.
"Sia benedetto questo Stato che con la sua Costituzione difende il figlio fin dal primo istante", ha dichiarato. "Se questa pillola ha effetti abortivi, allora non si deve vendere, a nessuno e in nessun luogo".
"Si sta parlando di discriminazione, 'questo va contro i poveri e a favore dei ricchi'"; "non c'è niente di più falso", ha ricordato.

Costruire uno Stato responsabile che promuova i valori
Il Cardinal Cipriani ha sottolineato che la Chiesa promuove il rispetto dei diritti umani. Per questo ricorda sempre che l'educazione sessuale non può limitarsi a un'istruzione tecnica (cioè come si fa), ma si tratta di promuovere uno stile di vita conforme alla dignità umana.
"Bisogna custodire la dignità dei giovani, è uno stile di vita. Dio ci ha creati liberi, per lottare contro quelle tendenze che costano a tutti noi, e non solo per contemplare la decadenza morale del mondo. In questo momento c'è un appello serio a una maggiore responsabilità di matrimonio, sesso e libertà. Siamo in una caduta libera di valori etici e morali in tutto il mondo", ha affermato.
Il porporato ha quindi confessato di lavorare a un'iniziativa a favore della vita in Perù, che conterà anche sul sostegno di altre istituzioni. L'obiettivo è accogliere le madri che potrebbero abortire seguendo l'esempio di Madre Teresa di Calcutta: "Non lo abortire, dallo a me".

sabato 24 ottobre 2009

Adesso il mio incubo si chiama Ru486. Le testimonianze di Mara e di Graziella


«Me l’hanno dipinta come una pillola magica come per non lasciarmi alternative, così l’ho presa. Dopo cinque minuti mi hanno mandato a casa e li è iniziato il calvario». Mara (il nome è di fantasia) ha abortito utilizzando la pillola Ru486 due anni fa, quando ne aveva 26. Oggi che di aborto farmacologico si è ricominciato a parlare, dopo che l’Agenzia italiana per il farmaco ha approvato la commercializzazione della pillola, Mara scopre che quello che le è capitato non è un caso, che altre donne hanno sofferto come lei e che nel mondo si contano 29 decessi seguiti all’assunzione della pillola. «Perché nessuno ne parla? Perché dicono di agire per il bene delle donne e ti spiegano che sentirai solo dei dolorini? Forse qualcuno ci guadagna qualcosa?», si chiede oggi questa donna che si dice a favore della libera scelta delle donne in tema di aborto. Quasi avida di sapere tutto ciò che riguarda il “farmaco incubo” (così lo hanno chiamato in Cina dopo averlo ritirato dal mercato perché troppo pericoloso), Mara accetta di raccontare la sua storia a Tempi perché «spero che si faccia un’indagine su quello che fanno negli ospedali». «Per abortire mi sono rivolta al Centro salute donna di Piacenza, lì lavora la dottoressa che mi ha proposto la Ru486. Durante il colloquio la possibilità dell’aborto chirurgico è stata appena accennata. Il medico diceva che era un metodo invasivo e che si corrono seri rischi d’infezione, mentre con la pillola sarebbe stato tutto più semplice e sicuro, al massimo avrei sentito dei fastidi». Che le cose non stavano proprio così Mara avrebbe dovuto scoprirlo sulla sua pelle.
Prima della decisione dell’Aifa del 30 luglio scorso le diverse sperimentazioni della pillola (tra cui quella dell’ospedale di Torino guidata dal ginecologo radicale Silvio Viale) furono sostituite da una pratica che di fatto aggirava il divieto di vendita e prevedeva l’acquisto dall’estero della pillola in via nominale per ogni paziente. Un procedimento applicabile per certi medicinali non ancora in commercio in Italia ma approvati dall’Ente europeo per il controllo sui farmaci. «Non capivo, ma mi sono fidata com’è normale. Precisavano che la pillola sarebbe arrivata dalla Francia e continuavano a ripetermi che sarebbe stata tutta per me. Mi dicevano: “Guarda, la confezione che compriamo è da tre pillole, ma è solo tua, ne usiamo una e le altre due le buttiamo”. Su questo dettaglio insistevano, come a sottolineare che a loro quelle pasticche costavano ma lo facevano per me». A distanza di tempo Mara ricorda stranezze a cui sul momento non diede peso. «C’era qualcosa di strano: la pillola non l’ho ingoiata in ospedale ma nel Centro salute donna. Due giorni dopo sono tornata per prendere altre medicine. La dottoressa mi aspettava al Centro per accompagnarmi lei in ospedale. Mi fece passare dal retro come per non dare nell’occhio e appena arrivata mi mandò a firmare un foglio, così, diceva “risulti ricoverata in day hospital ma in realtà torni a casa”. Subito dopo mi hanno somministrato il secondo farmaco, stavolta per via vaginale. Erano delle pastigliette».

«Da sola non ce l’avrei fatta»
Il farmaco in pastiglie che in questi casi viene somministrato per via vaginale è il Cytotec. Un tempo usato nei casi di ulcera e in grado di provocare contrazioni, oggi è sconsigliato dalle autorità sanitarie mondiali come farmaco abortivo per via dei gravi effetti collaterali. Anche questo dettaglio Mara lo apprende soltanto ora. «La parte peggiore è stata quando sono uscita: non appena salita in macchina ho incominciato a sentire delle fitte insopportabili, mi sentivo venir meno e penso sempre che se fossi stata sola forse non sarei qui, probabilmente mi sarebbe capitato un incidente. Fortunatamente c’era il mio ragazzo. Altrimenti come avrei fatto a salire le scale su cui sono svenuta? Chi mi avrebbe accudito quando sono entrata in casa vomitando per ore con sbalzi ormonali pazzeschi, sensazioni di freddo e caldo continue e tachicardie ripetute, mentre la violenza delle contrazioni mi piegava in due? E i giorni seguenti quando sono dovuta rimanere a letto come avrei fatto ad andare in bagno o anche solo a mangiare?».
Spaventata, Mara pensa che qualcosa sia andato storto o di avere avuto una reazione allergica. «Chiamai la dottoressa che mi disse di tornare in ospedale solo nel caso di perdite emorragiche prolungate. Ho scoperto dopo che teoricamente dovevano farmi degli esami perché non tutti riescono a tollerare la pillola, ma a me di esami non ne hanno fatti». In effetti la procedura prevede di verificare l’assenza di ipertensione, aritmia, asma e allergia alle due pillole. In realtà i disagi subiti da Mara rientrano perfettamente negli effetti collaterali provocati dalla pillola.
Un caso simile viene raccontato a Tempi da Graziella, cofondatrice e volontaria del Centro d’aiuto alla vita di Trento. «Due anni fa – spiega – una donna rumena venne qui e ci disse che voleva abortire perché era in Italia da sola e non sarebbe riuscita a prendersi cura di quel figlio. Noi le spiegammo che l’avremmo sostenuta sia economicamente sia fisicamente, ma in lei vinse il sospetto che dietro quella gratuità si nascondesse qualche interesse e decise di interrompere la gravidanza. Andò all’ospedale Santa Chiara dove le proposero la Ru486 come il metodo più innocuo». La voce di Graziella si fa più acuta, a tratti rotta: «Quando la richiamai mi raccontò che era spaventata per le perdite continue. Le dissi di tornare in ospedale. Andò avanti così per giorni ripetendomi continuamente “sto da cani, sto da cani”. Poi, dopo qualche giorno, è scomparsa e non so cosa le sia successo. Mi viene una rabbia che non so frenare quando penso a come trattano queste donne», conclude Graziella. La rabbia sale anche a Mara che non capisce «come mai queste cose non siano rese pubbliche e nemmeno quale sia l’interesse a tenerle nascoste, quando sarebbe semplicissimo fare dei controlli per sapere cosa è successo alle tante che hanno abortito con quel farmaco».

Non solo il dolore fisico
Anche sul web non è facile trovare le storie di chi ha sofferto per la somministrazione della Ru486 in Italia. A Mara mostriamo un articolo apparso su La Repubblica di Firenze il 28 febbraio del 2008, che non è facile trovare in rete. Mara lo legge con attenzione, velocemente, mostrando di nuovo quella voracità di conoscere la storia di altre donne che hanno abortito come lei. L’articolo racconta di una ragazza che ha usato la Ru486, anche a lei è stato somministrato il Cytotec. «Con quel farmaco – dice la ragazza a Repubblica – ti rendi conto di tutto. È dura, capisci quello che fai e lo fai con le tue gambe. Sono state quelle settantadue ore il momento più difficile, ti resta addosso qualcosa. In quei giorni hai sentito suonare un campanello d’allarme, che ti ha messo in guardia perché stavi impedendo all’organismo di concludere una cosa che avevi iniziato».
C’è una parte molto peggiore del dolore fisico, ammette Mara. «C’è qualcosa di peggio. È stato quando sono andata in bagno per una semplice pipì, lì ho espulso tutto e ho visto il feto». Mara sgrana gli occhi, aprendo le mani come se avesse tra le dita un gomitolo. «Era grande così e non me lo dimenticherò mai». «Ci pensa spesso?», le domandiamo. «Sempre. Soprattutto al momento in cui ho visto il feto. Lì sei veramente sola anche se c’è qualcuno che ti sta a fianco, perché sei tu che hai dentro un figlio e sei tu che sei stata felice in quei mesi in cui te lo sentivi dentro». «Noi donne – è convinta Mara – siamo fatte anche fisicamente per la maternità, il nostro organismo sta bene quando ospita, e quando abortisci e induci le contrazioni gli fai fare qualcosa che è contro la sua natura. Ti tiri via una parte di te e ti senti svuotata. E sono convinta che con la violenza dell’aborto farmacologico lo senti anche di più».
Dev’essere per questo che la ragazzina di Empoli che un anno fa ha abortito con la Ru486 non vuole parlare con Tempi e la sua mamma che si era aperta alle volontarie del Cav della città ha poi deciso di tacere: non se la sentiva più di ripercorrere un’esperienza così dolorosa. «Credo che sia così», risponde Mara risollevando lo sguardo. «Non si parla tranquillamente di una cosa del genere, anche la mia storia la conosce appena il mio ragazzo». Mara ha deciso di parlare con Tempi, sapendo che non sarebbe stato facile rivivere quell’«esperienza che ti porti addosso per sempre, perché spero davvero che la mia storia serva a far sapere la verità su questa pillola».


Trentatremila firme contro l'aborto in Perú

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Il 7 novembre a Chiclayo una marcia di sensibilizzazione

Lima, 12. Trentatremila firme per dire "no all'aborto" sono state presentate dal vescovo di Chiclayo, monsignor Jesús Moliné Labarta, al Congresso nazionale del Perú. La raccolta delle firme è frutto di una campagna di sensibilizzazione che mira a promuovere la difesa della vita dal concepimento fino alla morte naturale.
"L'iniziativa - ha sottolineato il vescovo - sostenuta, fra gli altri, dal presidente regionale, Nery Saldarriaga, e dai rettori di due università cattoliche del Paese - è un incoraggiamento alle autorità nazionali ad assumersi il compito urgente di difendere la vita. La stragrande maggioranza della popolazione - ha proseguito il presule - è per la difesa della vita. Noi siamo sempre a favore della vita e tale vita deve essere protetta e tutelata fin dalla sua esistenza, ossia dal momento del concepimento  fino  al  decesso  naturale".

Monsignor Moliné Labarta, dopo aver sottolineato l'impegno a fare di più nella lotta contro l'aborto, ha detto che "coloro i quali hanno sostenuto questa campagna con la propria firma lo hanno fatto con la convinzione che sia estremamente necessario essere la voce dei nascituri, di quelli che stanno nel grembo materno, i quali non possono gridare e non possono far sentire la loro voce".
Il vescovo di Chiclayo, oltre a ringraziare i calciatori della squadra di professionisti "Juan Aurich" che indosseranno durante le partite di campionato peruviano la maglia con la scritta "no all'aborto", si è congratulato con il Congresso nazionale e con tutte le istituzioni presenti che hanno offerto il loro impegno per la lotta contro l'aborto. In particolare, si è felicitato con la deputata parlamentare Fabiola Morales che si è fatta promotrice dell'iniziativa raccogliendo le trentatremila firme.
"Queste firme - ha spiegato il presule - mirano a far sì che le nostre autorità si sentano sostenute dai cittadini. Tali iniziative si estendono a tutto il Paese per dimostrare che la maggioranza della nostra società è a favore della vita".
Monsignor Moliné Labarta ha anche  esortato  i  peruviani  a "scommettere sulla famiglia" e a esporsi pubblicamente con iniziative di ogni genere, sia private che pubbliche, a supporto della vita e della famiglia stessa.
Il vescovo ha ribadito l'invito a tutti  i peruviani a partecipare alla "Marcia per la vita... no all'aborto" che  si  svolgerà il prossimo 7 novembre e che si snoderà per le principali strade  e  piazze  della diocesi di Chiclayo.
Secondo  gli organizzatori, all'evento parteciperanno circa diecimila persone.
Il documento con le trentatremila firme raccolte è stato consegnato al presidente del Congresso, Alan García e al presidente della Corte costituzionale, Juan Vergara. Si tratta di un'iniziativa congiunta della Commissione della famiglia della diocesi di Chiclayo e  dell'Instituto  de  familia che cercano di impedire la legalizzazione dell'aborto.
Il presule, durante una conferenza stampa, ha spiegato le motivazioni che hanno spinto le autorità ecclesiastiche alla loro iniziativa e ha ribadito ancora una volta l'importanza della campagna poiché in Perú ogni anno circa quindicimila donne si sottopongono alla pratica abortiva.
A tal riguardo, l'arcivescovo di Lima, cardinale Juan Luis Thorne Cipriani, è intervenuto nei giorni scorsi criticando i promotori delle organizzazioni che difendono la legalità dell'aborto nel Paese.
In Perú, ogni anno vengono praticati trecentosettantunomila aborti clandestini, di cui settemila per motivi di salute. Dal 1924 è considerato legale l'aborto terapeutico, cioè l'interruzione di gravidanza dovuta al rischio di vita per le donne, sebbene non esista  un  protocollo che regoli tale pratica.
In Perú, ogni giorno abortiscono più di mille donne e due muoiono per complicazioni dovute o al parto o alla gravidanza.
Intanto, nei prossimi giorni, la Corte costituzionale si pronuncerà su un caso attraverso il quale si esaminerà la questione della tutela della vita nascente nella fase successiva al concepimento. In particolare, a partire da questa sentenza, i fautori dell'aborto vorrebbero che l'interruzione volontaria di gravidanza fosse possibile almeno fino all'annidamento dell'embrione nell'utero materno. 



RU486: «Riconoscere ai farmacisti il diritto di obiezione»

 
CROCIATA AI FARMACISTI CATTOLICI
 
Ringrazio il Dott. Uroda, Presidente dell’Unione Cattolica Farmacisti italiani, per l’invito ad aprire i lavori di questo Convegno e saluto insieme a lui gli illustri relatori e i numerosi partecipanti. È un invito che ho accolto con piacere, considerata l’attualità del tema prescelto e l’impostazione dei lavori enunciata fin dal titolo, nel quale l’obiezione di coscienza del farmacista viene significativamente collocata in una prospettiva che richiama insieme il profilo del diritto e quello del dovere. Non spetta a me approfondire le complesse questioni giuridiche collegate a questa impostazione, oggetto delle relazioni che saranno svolte questa mattina da ben noti giuristi, né le possibili implicazioni sul piano sociale e politico, che risulteranno adeguatamente illustrate nel corso della tavola rotonda prevista per questo pomeriggio. Ritengo invece opportuno cogliere l’occasione di questo breve intervento introduttivo per richiamare l’attenzione sui delicati problemi etici connessi al tema del Convegno e sul contributo alla riflessione offerto dal magistero della Chiesa.

La questione dell’obiezione di coscienza nasce dal conflitto interiore dell’uomo posto di fronte all’alternativa, a volte lacerante, fra il comando della legge, che imporrebbe una determinata azione, e l’imperativo della propria coscienza – rispondente a motivazioni religiose, ma anche etiche o ideologiche – secondo cui quella azione risulta inaccettabile. Il riconoscimento della possibilità di appellarsi alla “clausola di coscienza” è diretto appunto a superare tale conflitto interiore tra coscienza individuale e obbligo legale. Cercando di evitare gli esiti insanabili e gravissimi che derivano da una legge ingiusta di cui sia destinatario, l’obiettore «dicendo di no alla legge intende dire di sì al diritto» (F. D’Agostino). Tradizionalmente la possibilità dell’obiezione di coscienza è stata riconosciuta con riguardo al servizio di leva obbligatorio e agli interventi diretti all’interruzione volontaria di gravidanza, cioè ai due casi tipici che per la loro radicalità permettono di mettere in evidenza i referenti essenziali dell’obiezione stessa. Sono casi emblematici perché, pur nella loro diversità, appaiono entrambi legati direttamente al fondamentale principio del non uccidere.

In questo quadro si colloca anche la questione del diritto-dovere dei farmacisti all’obiezione di coscienza, che viene oggi in discussione sia di fronte a taluni farmaci abortivi (come la RU486, per i farmacisti ospedalieri) o potenzialmente abortivi, quale in concreto la cosiddetta pillola del giorno dopo, sia di fronte a taluni sviluppi (o meglio involuzioni) che si profilano in materia di fine vita, considerato che in alcuni paesi europei, come ad esempio in Belgio, risulta già in vendita nelle farmacie un kit eutanasico. In Italia il problema è avvertito soprattutto riguardo alla vendita della cosiddetta pillola del giorno dopo. Infatti, sebbene l’autorizzazione ministeriale all’immissione in commercio della specialità medicinale Norlevo abbia qualificato tale prodotto come «contraccettivo d’emergenza», in base alle evidenze scientifiche disponibili non si può escludere la concreta possibilità di un’azione post-fertilizzativa del farmaco stesso nelle ipotesi in cui, essendosi già verificata la fecondazione dell’ovulo e quindi la formazione dell’embrione, viene impedito all’embrione stesso di iniziare l’impianto nella parete uterina, con evidente effetto abortivo.

In tal senso si è pronunciato il Comitato nazionale di bioetica nella Nota sulla contraccezione d’emergenza approvata il 28 maggio 2004, nella quale, dopo aver rilevato la diversità di opinioni emerse nel dibattito scientifico circa l’efficacia della “pillola del giorno dopo”, ha «ritenuta unanimemente da accogliersi la possibilità per il medico di rifiutare la prescrizione o la somministrazione» del levonorgestrel (LNG, principio attivo del farmaco). Se una tale opzione è correlata ai possibili effetti post-fertilizzazione del farmaco, osserva il Comitato, «il medico ha comunque il diritto di appellarsi alla ‘clausola di coscienza’, dato il riconosciuto rango costituzionale dello scopo di tutela del concepito che motiva l’astensione (cfr. Corte cost. n. 35/1997), e dunque a prescindere da disposizioni normative specifiche sul punto». Del resto, appare abbastanza chiaro che l'intenzione di chi chiede o propone l’uso di questa pillola o è finalizzata direttamente all’interruzione di una eventuale gravidanza, proprio come nel caso dell’aborto, o perlomeno non esclude e accetta questo possibile risultato, che verrebbe a realizzarsi al di fuori delle rigorose prescrizioni e procedure stabilite dalla legge 194/78.

Emerge così «il rischio di una ulteriore banalizzazione del valore della vita, con l’incremento di una mentalità secondo cui l’aborto stesso finisce per essere considerato un anticoncezionale» (card. A. Bagnasco, Prolusione al Consiglio permanente, 21-24 settembre 2009). Si viene inoltre a introdurre «un conflitto all’interno delle norme dello Stato: la legge 194 garantisce infatti il diritto all’obiezione di coscienza da parte del personale sanitario a cui sia richiesto di collaborare all’aborto. Non è giustificabile togliere questo diritto ai farmacisti» (card. C. Ruini, Intervista al Sir, 1 novembre 2000). Proprio i farmacisti sono chiamati a dare in questo ambito una chiara testimonianza, in quanto, come ha affermato Benedetto XVI, essi rappresentano gli «intermediari fra il medico e il paziente» e svolgono «un ruolo educativo verso i pazienti per un uso corretto dell’assunzione dei farmaci e soprattutto per far conoscere le implicazioni etiche dell’utilizzazione di alcuni farmaci». Non si devono «anestetizzare le coscienze sugli effetti di molecole che hanno lo scopo di evitare l’annidamento di un embrione o di cancellare la vita di una persona»; il farmacista deve invitare ciascuno «a un sussulto di umanità, perché ogni essere sia protetto dal concepimento fino alla morte naturale» (Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti al 25° Congresso internazionale dei farmacisti cattolici, 29 ottobre 2007).

Il ruolo educativo nell’intermediazione tra medico e paziente rappresenta, dunque, un compito caratterizzante il lavoro del farmacista. Il farmacista cattolico è chiamato a cogliere questa opportunità per esercitare un autentico apostolato e un’opera di misericordia spirituale attraverso il suo lavoro. Per far questo è importante coltivare la vita di fede con la preghiera, i sacramenti e la testimonianza di onestà e di carità. Altresì è necessaria al farmacista, come a tutti gli operatori sanitari, quella speciale attenzione nella formazione della coscienza morale che si richiede per essere accanto a chi soffre. Dare testimonianza evangelica laddove i contenuti della fede sono messi in questione da casi limite emotivamente coinvolgenti, da forti interessi economici o da una cultura edonista e nichilista è oggi particolarmente faticoso. Bisogna perciò, come singoli farmacisti e come associazione, attingere al patrimonio morale e agli insegnamenti della Chiesa e coordinarsi con l’azione pastorale che essa esercita a tutela della vita e a servizio dei malati (a questo proposito è significativa e lodevole la vostra scelta di firmare il manifesto Liberi per Vivere promosso dal’Associazione Scienza & Vita). D’altra parte, la riflessione ecclesiale che la Chiesa che è in Italia sta portando avanti sul tema dell’educazione rappresenta anche la via per un rilancio culturale della vostra professione, che spesso rischia di essere percepita e regolamentata come una pura attività commerciale, svuotata della sua dignità ed esposta a logiche economiche di tipo unicamente mercantile. Invece, educare le coscienze con la propria professione di farmacista è oggi una priorità per il bene comune e l’interesse di tutti e una missione alta e certamente impegnativa; per questo «nella distribuzione delle medicine il farmacista non può rinunciare alle esigenze della sua coscienza in nome delle leggi del mercato, né in nome di compiacenti legislazioni. Il guadagno, legittimo e necessario, deve essere sempre subordinato al rispetto della legge morale e all'adesione al magistero della Chiesa» (Giovanni Paolo II, Discorso alla Federazione internazionale dei farmacisti cattolici, 3 novembre 1990).

Per il farmacista cattolico, aderire all’insegnamento della Chiesa sul rispetto della vita e della dignità della persona umana, che è di natura etica e morale, rappresenta anzitutto un dovere, sicuramente difficile da adempiere in concreto ma al quale non può rinunciare. I cristiani infatti sono chiamati a non prestare la loro collaborazione a quelle pratiche che, pur ammesse dalla legislazione civile, sono in contrasto con la Legge di Dio. Tale cooperazione si verifica quando «l’azione compiuta, o per la sua stessa natura o per la configurazione che essa viene assumendo in un concreto contesto, si qualifica come partecipazione diretta ad un atto contro la vita umana innocente o come condivisione dell’intenzione immorale dell’agente principale» (Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Evangelium vitae, § 74). In questa prospettiva, l’obiezione di coscienza è anche un diritto che deve essere riconosciuto ai farmacisti, permettendo loro di non collaborare direttamente o indirettamente alla «fornitura di prodotti che hanno per scopo scelte chiaramente immorali, come per esempio l’aborto e l’eutanasia», e di superare le difficoltà di un contesto culturale che tende, talvolta, a non favorire l’accettazione dell’esercizio di questo diritto, in quanto «elemento “destabilizzante” del quietismo delle coscienze» (Pontificia Accademia per la Vita, 15 marzo 2007).

Il diritto-dovere all’obiezione di coscienza non riguarda solo i farmacisti cattolici ma tutti i farmacisti, perché «la questione della vita e della sua difesa e promozione non è una prerogativa dei soli cristiani. Anche se dalla fede riceve luce e forza straordinarie, essa appartiene ad ogni coscienza umana che aspira alla verità ed è attenta e pensosa per le sorti dell’umanità» (Giovanni Paolo II, Enciclica Evangelium vitae, § 101). Desidero quindi esortare voi tutti ad essere testimoni coraggiosi nell’esercizio della professione del valore inalienabile della vita umana, soprattutto quando è più debole e indifesa. Seguire la propria coscienza non è sempre una via facile e può comportare sacrifici ed aggravi. Tuttavia, rimane necessario «proclamare chiaramente che la via dell’autentica espansione della persona umana passa per questa costante fedeltà alla coscienza mantenuta nella rettitudine e nella verità» (Congregazione per la dottrina della fede, Dichiarazione sull’aborto procurato, 1974). A Cristo Gesù, Signore della Vita e a Maria Madre Sua e Madre della Chiesa affido il cammino della vostra associazione e i lavori di questa giornata, auspicando il miglior frutto per questa iniziativa.
 
 

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